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Oggi intervisteremo la IVIPRO (Italian Videogame Program).

Il suo progetto mira ad agevolare la produzione di videogiochi ambientati in Italia o legati alla cultura italiana. Inoltre, si impegna a promuovere percorsi di formazione e alfabetizzazione sul tema videogame e territorio; a fornire consulenza agli sviluppatori e a quelle istituzioni interessate a utilizzare i videogame come strumento di valorizzazione del patrimonio; ad arricchire la mappatura del territorio nazionale in chiave videoludica individuando le location più adatte ai videogiochi e catalogando luoghi, monumenti, racconti e personaggi.

Con questa intervista vogliamo supportare la loro iniziativa, diffondendo i loro progetti di realizzazione di videogiochi, in quanto sono in grado di rivoluzionare il panorama videoludico.

Abbiamo avuto il piacere di intervistare Andrea Dresseno, presidente dell’associazione IVIPRO… ma prima, conosciamolo meglio.

Andrea Dresseno: il presidente di IVIPro

Andrea Dresseno si laurea in DAMS Cinema all’Università di Bologna. Nel 2002 inizia a lavorare al Progetto Chaplin della Cineteca di Bologna, occupandosi della digitalizzazione e del trattamento del fondo cartaceo e fotografico appartenuto al cineasta inglese. Nel 2009 unisce esperienza archivistica e passione per i videogiochi per dare vita all’Archivio Videoludico, spazio dedicato alla conservazione e allo studio del videogioco. Nell’ambito dell’Archivio, è promotore e membro del comitato scientifico del Premio AV per le migliori tesi di laurea a tematica videoludica.  
Da settembre 2016 è presidente dell’Associazione IVIPRO.

Per l’A.A. 2020-2021 è inoltre professore a contratto presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna e presso l’Accademia di Belle Arti SantaGiulia di Brescia.  

Presidente, innanzitutto la ringraziamo a nome di tutta la redazione per averci dato modo di raccontare la vostra realtà.
Partendo dall’inizio, com’è nata questa idea?

L’idea nasce ben prima del lancio del progetto, avvenuto nel 2016. Era il 2014 e mi trovavo a Brisighella, bellissimo borgo romagnolo. Da grande appassionato di Assassin’s Creed II la domanda è sorta spontanea: perché luoghi simili non vengono utilizzati più spesso all’interno dei videogiochi? Così come esistono le Film Commission che agevolano la produzione di film sul territorio, perché non pensare a qualcosa di analogo per i videogame, per far sì che sempre più spesso l’Italia diventi teatro di opere videoludiche?

Da lì è partito il processo che ha portato alla nascita di IVIPRO: abbiamo presentato il progetto ad AESVI (l’attuale IIDEA, associazione di categoria dell’industria dei videogiochi in Italia), alle Film Commission regionali e al MiBACT. I feedback sono stati molto positivi e il lancio è avvenuto al Festival di Venezia nel settembre 2016.

L’Associazione IVIPRO, ci tengo a precisarlo, è un’associazione culturale nata dal basso, che si sostiene attraverso piccoli bandi e varie attività divulgative e di ricerca. Non possiamo purtroppo contare su finanziamenti pubblici strutturati e a lungo termine, nonostante le nostre attività abbiano chiaramente una vocazione pubblica. Diciamo che siamo spinti soprattutto dalla nostra passione.

IVIPro

Quanto ritiene utile l’utilizzo dei videogiochi come mezzo di istruzione, cultura e conoscenza in generale in diverse tematiche?

Noi ci concentriamo in particolare sulla valorizzazione del territorio e del patrimonio culturale italiano attraverso i videogiochi. Si tratta di un filone ben specifico, che in un certo senso dà già per scontato che i videogiochi possano essere, oltre che strumento ludico, anche strumento divulgativo.

Riteniamo molto importante che ci sia sempre un equilibrio tra intrattenimento e divulgazione. I nostri modelli di riferimento sono giochi come Assassin’s Creed, The Town of Light, Valiant Hearts, Wheels of Aurelia. Giusto alcuni esempi, ma l’elenco potrebbe continuare. Crediamo sia proprio questo equilibrio a rendere i videogiochi stimolanti; è bene secondo noi evitare quelle derive connesse all’uso spiccatamente educativo dei videogiochi. Meglio forse concentrarsi sul cosiddetto apprendimento tangenziale: un videogioco che non si pone finalità educative ma che riesce comunque a stimolare curiosità per luoghi e temi. Una curiosità che può essere poi approfondita anche al di fuori dell’opera.

A che tipo di videogame giocate quando smettete i panni di IVIPRO?

Devo dire che siamo un team molto eterogeneo, in quanto a gusti e preferenze. In Associazione abbiamo un patito di Dark Souls (tra l’altro c’è un po’ d’Italia anche in questa serie!); io per esempio non ho mai toccato un Dark Souls in vita mia: troppo difficile, non avrei la pazienza necessaria.

Personalmente sono un grande amante delle avventure e dei giochi di ruolo. Tra le mie avventure grafiche preferite ci sono Broken Sword e Gabriel Knight 3. Non a caso, due giochi legati alla storia e a luoghi reali. Andai pure a visitare Rennes-le-Château dopo aver giocato a Gabriel Knight 3!

Sono cresciuto anche con Nintendo, per cui sono un grande appassionato di Zelda e Mario. Diciamo che gioco un po’ a tutto, la curiosità non manca. Apprezzo molto anche la scena indie, da sempre luogo di sperimentazione. A proposito di opere “sperimentali”, ho amato moltissimo Inside e What Remains of Edith Finch.

Cosa manca all’Italia per essere considerata una nazione alla pari degli altri paesi riguardo legislazione, mentalità, associazionismo e fondi statali?

Probabilmente manca una capillare cultura del videogioco. Veniamo da decenni di pregiudizio, durante i quali il videogioco è stato considerato quasi esclusivamente come puro oggetto d’intrattenimento, nel migliore dei casi. Nel peggiore dei casi, strumento di distrazione o anche di “perdizione”. Finché manca una consapevolezza della complessità e della ricchezza del medium, è difficile che le istituzioni possano investirci seriamente. È mia convinzione che business e cultura debbano andare a braccetto, in una sorta di circolo virtuoso in cui uno l’alimenta l’altra, e viceversa.

Fortunatamente le cose stanno lentamente cambiando anche da noi, vedi l’introduzione del First Playable Fund nel decreto rilancio. Maggiori finanziamenti a questo settore non possono che contribuire ad alimentare quel circolo virtuoso di cui parlavo poco fa.

Avete da poco inaugurato magnificamente gli ivi pro days 2020 con annessa virtual exhibition. Noi abbiamo seguito e partecipato a queste giornate, ma voi che tipo di riscontro avete avuto?

Inizialmente ci è dispiaciuto molto dover dirottare sulla dimensione online a causa dell’emergenza sanitaria. Ovviamente incontrarsi e confrontarsi di persona è tutta un’altra cosa, ma col senno di poi crediamo sia stata una bella esperienza e che l’online abbia funzionato bene. Anzi, vorremmo farne tesoro anche per le prossime edizioni degli IVIPRO DAYS! Il nostro appuntamento annuale dedicato ai videogiochi come strumento per valorizzare territorio e patrimonio culturale tornerà infatti anche nel 2021.

I riscontri per questa edizione sono stati positivi, a essere sincero anche più del previsto. Il pubblico ha apprezzato il programma, ci sono arrivati molti feedback in tal senso. Quello che più ci interessa è che tutto il materiale prodotto durante le quattro giornate dell’evento rimanga a disposizione di tutte/i: di chi gioca giusto per piacere e di chi il videogioco lo studia; di chi si interessa di tecnologia e valorizzazione del patrimonio e di chi in futuro potrebbe voler iniziare ad approfondire il tema. È infatti possibile recuperare tutti i video degli incontri sulle nostre pagine Facebook e Youtube.

IVIPro Days

Cosa ne pensa dell’immensa industria indipendente italiana e invece dei pochissimi publisher e sh importanti che non hanno sede in Italia nonostante l’industria videoludica abbia fatturato 1 miliardo e 787 milioni di euro ed è un settore in netta crescita?

Non mi occupo di business, è un ambito che osservo dal di fuori. Come IVIPRO ci fa ovviamente sempre molto piacere supportare i nostri e le nostre dev, ma la nostra mission è orientata soprattutto sul fronte culturale. Ciò nonostante, devo dire che ripongo molta fiducia nella nostra industria indipendente. Nel corso dell’ultimo decennio l’ho vista crescere sensibilmente, così come ho notato una sensibilità sempre maggiore sul fronte delle storie e dei contenuti. Molti nostri dev raccontano l’Italia nelle proprie opere, un fatto per niente scontato e che sicuramente va valorizzato: non a caso durante gli IVIPRO DAYS abbiamo dedicato una virtual exhibition alle opere videoludiche realizzate e ambientate in Italia.

Quali sono le iniziative e giochi che adesso state promuovendo?

Al momento siamo impegnati col nostro database narrativo di storie e luoghi italiani dal potenziale videoludico: entro fine anno lo aggiorneremo con 70 nuove schede che potranno diventare spunto per futuri videogiochi.

Stiamo collaborando da vicino allo sviluppo di A Painter’s Tale: Curon, 1950, videogioco di Monkeys Tales Studio ambientato in Alto Adige e che uscirà il prossimo dicembre. A novembre uscirà anche la seconda parte di The Hand of Glory, avventura grafica ambientata a San Leo, in Romagna. Un progetto che abbiamo seguito sin dalla genesi e che si ispira per atmosfere a Broken Sword.

Siamo reduci anche da alcuni sopralluoghi in Umbria: tre giorni di ricerca narrativa per il prossimo gioco di Entertainment Game Apps dedicato a Spoleto e alla Valnerina.

Salutandola e Ringraziandola per il tempo dedicatoci, può svelarci i vostri progetti futuri cosi da darci qualche succosa anticipazione?

Sicuramente, come già anticipato, nel 2021 torneranno gli IVIPRO DAYS. Inizieremo a lavorarci dalla prossima primavera. C’è anche qualche altro gioco non annunciato che stiamo supportando, ma al momento purtroppo non possiamo rivelarvi di più. Sempre nel 2021 torneremo a lavorare anche sul fronte della formazione: dopo il primo corso di game design per il territorio che abbiamo organizzato nel 2019 ci siamo dovuti fermare a causa del Covid, ma contiamo di riprendere nel 2021.

Non ci resta, quindi, che tenere d’occhio il loro sito per non perdere altre novità da parte loro!

 

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