Eccoci di nuovo qui, followHz!

La vostra psicologa di fiducia (oppure no) è nuovamente qui per provare a parlare di psicologia e videogiochi, più in particolare di una notizia recentissima di tgcom24 diffusa da una nota testata giornalistica. E smontiamola un po’, come solo la scienza sa fare.

Iniziamo dal titolo e vediamo dove di porta questo viaggio insieme!

“Giocare ai videogiochi più di un’ora al giorno porta a pessimi risultati scolastici, lo conferma uno studio”

Ormai sappiamo che i titoli clickbait sono la regola, sembrano essere l’unico modo che il giornalismo ha ancora per attirare l’attenzione dei lettori, fare visualizzazioni e, quindi, soldi. Però sfruttare la psicologia per creare allarmismo… Ecco direi proprio di no. Potrei infastidirmi un pochino, ecco.

Quindi, seguendo la stessa metodologia che applico quando faccio ricerca con il Laboratorio per cui lavoro (seppure stavolta un po’ prevenuta), ho deciso di fare ciò che ci si aspetta da una ricercatrice. Ho letto l’articolo, ho compreso i punti chiave e poi ne ho verificato l’affidabilità. Come? Andando a cercare lo “studio” citato.psicologia e videogiochi

Partiamo da cosa dice la psicologia secondo la testata giornalistica.

Prima cosa da fare per essere affidabili: riconoscere cosa mi rende prevenuta e cercare di ridurre al minimo la sua influenza sul mio ragionamento. I problemi di questo articolo, a mio avviso (oltre al titolo clickbait)? Non viene citata la fonte. Quale studio? Chi ha scritto questo articolo ci dice chi sono le autrici, ci dice per cosa lavorano e ci dà più o meno un arco temporale. Questo cosa significa? Che una persona che lavora con la ricerca potrebbe trovare l’articolo originario. Ma chi non lavora in questo ambito? Come può trovare lo studio per informarsi?

Però, dato che qui cerchiamo l’obiettività e di essere super-partes, ecco che ignoreremo queste due problematiche e andremo al contenuto.

Qual è l’obiettivo della ricerca?

Scopriamo, attraverso l’articolo, che la domanda principale è: si può videogiocare nei giorni di scuola? Il problema di un eccessivo attaccamento agli schermi e agli strumenti digitali, soprattutto in pandemia, è stato affrontato sotto molti aspetti: è stato l’unico modo per mantenere contatti, per seguire le lezioni, per lavorare, per distrarsi,… in questo anno le ricerche sul tema sono aumentate da un punto di vista psicologico, educativo, medico, e così via.

Ed è qui che viene in aiuto questo “studio americano” che ci dice che ridurre il tempo in cui si utilizza internet può risultare positivo per il rendimento scolastico. E già qui c’è la prima incongruenza: la domanda principale parla di videogiochi ma la ricerca sembrerebbe parlare di internet.

Infatti, già nelle righe successive, il nostro articolo ci parla di studenti di scuola media che giocano ai videogiochi oppure utilizzano i social media per più di un’ora al giorno hanno punteggi più bassi ai test rispetto ai loro coetanei. Ecco perché si dice di limitare il tempo ricreativo allo schermo a un’ora nei giorni feriali, e a quattro ore nel fine settimana. Questi risultati sembrano emergere da uno studio sul rendimento scolastico e sulle abitudini di circa 10mila studenti (età media, 13 anni).

I risultati?

Secondo questo sondaggio, sembra effettivamente emergere una relazione fra il tempo speso davanti agli schermi e il rendimento scolastico. In particolare, i ragazzi sembrano utilizzare maggiormente social media, internet e videogiochi rispetto alle ragazze. E sembrano avere risultati più bassi rispetto alle ragazze.

La motivazione che viene data dalle autrici, Anthony e Nower, riguarda la possibilità, durante le lezioni online, che studenti e studentesse si distraggano senza che insegnanti e familiari se ne accorgano.books 2596809 1920

Cosa dice lo studio?

Come controlliamo? Andiamo su Google Scholar inserendo come parole chiave “Anthony” e “Nower” (i nomi delle autrici). Da quanto sappiamo (o possiamo immaginare) l’articolo deve essere recente, perché abbiamo parlato della pandemia. E infatti, ecco che troviamo fra i primi risultati lo studio citato (piccolo inciso, l’articolo è quasi introvabile, basta una parola chiave in più e sparisce, rendendo più difficile trovarlo a chi non è di settore).

Andiamo direttamente alla sezione che riguarda lo studio, cosa scopriamo?

Lo studio ha utilizzato un campione di 9449 studenti che hanno compilato un questionario nell’anno scolastico 2013-2014 e che hanno svolto lo stesso questionario (follow-up) un anno dopo, quindi nell’anno scolastico 2014-2015.

Già qui possiamo chiederci: che c’entra la pandemia? Se andiamo oltre con la lettura dell’articolo, scopriremo che della pandemia si parla solo alla fine dell’articolo, perché i dati non hanno nulla a che vedere con la pandemia, anzi. La pandemia è stata utilizzata solamente per far capire che è un tema importante. Che è ben diverso dal dire che una cosa “è così”.

Non entro nel tema delle analisi statistiche che hanno effettuato, spero vi fiderete del fatto che sono fatte bene (e non perché lo dico io, ma perché gli articoli scientifici per essere pubblicati vengono revisionati da persone ritenute esperte sul tema).

E i risultati?

Secondo il team di ricerca, l’uso d’internet e dei videogiochi ha un’influenza sulle performance e sul coinvolgimento scolastico. Influenza che può essere positiva o negativa (ne avevamo già parlato qui proprio parlando di psicologia e videogiochi). In particolare, scopriamo che dai risultati di questo studio la relazione fra tempo speso con device tecnologici e performance scolastica non è lineare.

È effettivamente emerso che chi utilizza gli strumenti tecnologici più di un’ora al giorno nei giorni feriali e più di quattro nei fine settimana ha livelli scolastici più bassi alla seconda somministrazione del questionario (dopo un anno) ma ci dicono anche che l’utilizzo della tecnologia, se non eccessivo, ha pochi effetti in realtà sull’educazione e può, anzi, essere l’aiuto nello sviluppo cognitivo per alcuni studenti. D’altra parte, aggiungono, se andiamo a guardare altri studi sempre nel campo, emerge come anche l’utilizzo non-problematico della tecnologia può essere associato a bassi risultati scolastici.

I limiti?

Ogni articolo scientifico deve sempre specificare quali sono i limiti dello studio (non se ci sono ma quali sono, perché nessuna misurazione è perfetta). E questo studio ci dice che avere studenti (anche se molti) solo dalle scuole medie cinesi non permette di affermare che i risultati siano validi in altre culture o per altre età. Cosa significa? Che quello che è il risultato in Cina, potrebbe non essere il risultato negli Stati Uniti, né in Italia, né in qualsiasi altro paese.

Ci dice anche che non sappiamo se c’è una “distrazione tecnologica” che ha più effetto di altre. Per esempio: è la stessa cosa stare davanti a un videogioco per un’ora intera e poi studiare per cinque ore di fila rispetto a studiare per otto ore distraendosi ogni cinque minuti per aprire Instagram? Ovvio, questa è una semplificazione estrema ma, come anche gli autori ci dicono, distinguere sia cosa si fa, sia con quale device, sia quale è la motivazione di fondo può cambiare i nostri risultati.notebook 336634 1920

E quindi? Psicologia e fact-checking che ci dicono?

Quello che ci spiega questo confronto è che la semplificazione non è mai la strada migliore. È ben diverso dire “Giocare ai videogiochi più di un’ora al giorno porta a pessimi risultati scolastici, lo conferma uno studio” piuttosto che “Uno studio analizza la possibile relazione fra i risultati scolastici e l’utilizzo di internet e videogiochi”. Da un lato abbiamo certezze (e, come insegna mia madre “di certo e inevitabile c’è solo la morte”), dall’altro possibilità.

Che i videogiochi abbiano un impatto negativo su alcuni aspetti della vita è un fatto conosciuto anche nel campo scientifico, così come ne sono riconosciuti gli effetti positivi. La polarizzazione da un lato e dall’altro, però, è sempre sbagliata. Soprattutto quando, come in questo caso, i risultati non sono generalizzabili fuori dalla nazione del campione preso in esame.

Che si tratti di videogiochi, d’internet, di cibo, o di qualsiasi altra cosa, ricordiamoci sempre che la realtà è complessa, non può essere appiattita in “va bene” o “va male”. È normale farlo, in psicologia si parla di “economia cognitiva”, ma accorgerci di questi meccanismi ci aiuta a cadere sempre meno in errore.

Un Ringraziamento ai Betsu Boys che hanno condiviso l’articolo con noi|

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giulia.lausi
Ciao a tutt*, Sono Giulia, dottoranda, psicologa ed interessata al femminismo e alla parità di genere. Ho scoperto 4GameHZ da uno schiavista di nome Massimiliano. Scrivevo senza videogiocare e con il tempo ho scoperto che videogioco pure, spesso senza saperlo. Sono capo scout ormai da qualche anno, scrivo per diletto, provo a fare mille cose ma senza un Giratempo spesso è più difficile del previsto. Adoro le serie tv, potrei fare il rewatch di Friends ogni mese (e non è nemmeno la mia serie preferita), ho dovuto comprare un Kindle perché nella mia camera non c’era più spazio per me a causa del gran numero di libri. Credo fermamente che facendo cultura si possa cambiare il mondo, quindi provo a cambiare il mondo uno spiegone alla volta (e anche con gli shampoo solidi ma non credo sia questo il posto per metterci anche a parlare di questo).

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